VENEZIA 25 settembre 2015
Sì unanime del consiglio regionale ai referendum contro le norme “sblocca trivelle”, Azzalin: “Tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, remiamo convintamente e senza barriere nella stessa direzione in difesa del nostro territorio”
“Il consiglio regionale ha detto sì all’unanimità ai quesiti referendari per l’abrogazione delle norme ‘sblocca trivelle’ al termine di una discussione che ci ha visti tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, remare convintamente e senza barriere nella stessa direzione per una battaglia in difesa del nostro territorio e questo è un motivo di grande soddisfazione”. Il consigliere regionale del Pd Graziano Azzalin esprime tutto il proprio compiacimento. Proprio lui, riconosciuto come il “padre” della proposta di legge statale numero 11 approvata dal consiglio regionale nel 2011 per vietare prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle province di Venezia, Padova e Rovigo, poi arenatasi in Parlamento, è stato nominato insieme al presidente del consiglio Roberto Ciambetti come depositario della richiesta di referendum, ovvero chi dovrà occuparsi di consegnare concretamente i documenti a Roma.
“Si tratta di riaffermare il principio di precauzione e di fermare l’esproprio del potere decisionale agli enti locali. Perché oggi i cittadini sono più consapevoli e non sono disposti ad accettare simili violenze ai proprio territori – ha sottolineato Azzalin – Fra l’altro c’è anche un altro disegno di legge che discuteremo a breve, che ho presentato ed è stato sottoscritto anche dal capogruppo della Lega Nicola Finco, con il quale si modifica la legge istitutiva del Parco del Delta del Po per vietare la ricerca con ogni mezzo. In nessun luogo come in Polesine, infatti è facile provare l’evidenza della correlazione tra la subsidenza e la coltivazione di idrocarburi. Non a caso nessuna istanza di estrazione esclude questo rischio. Un fenomeno naturale ed irreversibile che viene accentuato da azioni estrattive. Il Polesine, dove fino agli anni ’60 è stato estratto il metano è al 100% superficie esondabile, mediamente sotto il livello del mare di circa 2 metri con punte di oltre 4 metri proprio in corrispondenza delle zone dove più numerosi erano i pozzi. Che proprio per questo furono chiusi. Ma sapete quanto ci sono costate da allora la ricostruzione e l’adeguamento delle opere di bonifica? 700 milioni di euro di investimenti contro il rischio idrogeologico, 3mila milioni di euro per la ricostruzione delle arginature e poco meno di 2 milioni di euro l’anno per tenere in funzione le idrovore, il cui costo aumenta proporzionalmente al livello di abbassamento del suolo”.
“E’ per questo che unanimemente – ha aggiunto l’esponente del Pd – per evitare i rischi dovuti all’ulteriore abbassamento del suolo, già nel 2011 il consiglio si era pronunciato a favore della legge per vietare ogni attività estrattiva nostra Venezia, nella zona della lagune, nel delta del Po e nella pianura padano-veneta. In quella seduta Zaia era assente, ma credo si sia rifatto a posteriori nel sostegno di questa battaglia: ritengo sia un segno importante che all’unanimità ancora una volta venga detto un no alle trivellazioni da parte di tutto il Veneto. Perché parlare di sburocratizzazione e semplificazione in questa materia vuol dire offrire il fianco a rischi che non possono compensare nessun ritorno economico. Sarebbe come dire che per aumentare la produttività delle aziende si aboliscono tutte le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Il referendum o l’eventuale modifica delle norme dello Sblocca Italia e del Decreto sviluppo è solo il primo passo: la lotta con le trivelle è ancora lunga e impegnativa ed il Veneto è pronto a combatterla unito”.