VENEZIA 23 febbraio 2017 – Graziano Azzalin, l’ultimo giapponese. Sul referendum per l’autonomia ormai pure il Pd s’è scansato, astenendosi dopo anni di voti contrari. Lei no: l’unico puntino rosso, martedì sul tabellone del consiglio, era il suo. «Resto coerente con me stesso. Ho sempre sostenuto che il referendum è inutile, 14 milioni buttati via, e non cambio idea. Facciamo ai veneti una domanda di cui conosciamo già la risposta». «Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e particolari condizioni di autonomia?». «Davvero pensiamo che qualcuno dirà di no? Maddai, non prendiamoci in giro». Diranno i leghisti: Azzalin è contro l’autonomia. «E si sbagliano di grosso perché io non sono contro l’autonomia, sono contro il loro inutile referendum e contro il tempo che ci stanno facendo perdere. È dal giugno del 2014 che Zaia mena il can per l’aia: dove saremmo adesso se avesse iniziato allora il negoziato col governo? Condivido il fine, non lo strumento».
Diranno i Cinque Stelle: Azzalin non vuole ascoltare la voce della gente. «Democrazia è partecipare e decidere. Qui si partecipa ma non si decide un bel niente, si rimette tutto nelle mani di Zaia. Che democrazia è questa?». Dice il presidente che per trattare col governo ha bisogno di una forte investitura popolare. «Perché scusi, il consenso che ha ottenuto nel 2010 e più ancora nel 2015, quando tutta la sua campagna elettorale si è giocata sul tema dell’autonomia, non conta nulla? All’ultimo giro Zaia ha conquistato un milione di voti, lo ha scelto un Veneto su due. Mi pare abbia piena legittimazione per sedere al tavolo a Roma». Ascoltare il popolo, fosse anche per due volte sullo stesso argomento, non può dirsi una tragedia. «Se non fosse che ci costerà 14 milioni, una cifra enorme che in tempi di bilancio all’osso poteva essere spesa in modo decisamente più proficuo». Lei sostiene che 5,5 milioni sarebbero bastati. Conferma? «Il vice presidente Forcolin ha dato in aula numeri diversi e mi riservo di verificarli. Si sono basati sul referendum sui buoni scuola del 2002 ma da allora il numero dei seggi è sceso. Comunque il problema è politico, non finanziario».
Teme il plebiscito per Zaia? «Per carità, sono sicuro che la democrazia reggerà l’urto ma sgombriamo il campo da un equivoco, questo non è il referendum dei veneti, è il referendum di Zaia, serve alla sua campagna elettorale permanente. E segna un ritorno alla Lega vecchia maniera, anti Stato, anti Roma, secessionista. Usa strumenti più raffinati ma gli scopi sono quelli di una volta e la prova sta nel fatto che il governatore non ha mai smentito i suoi consiglieri che in aula hanno detto: questo è soltanto il primo passo verso l’indipendenza». Per lei sarà solo uno spot. Ma la delibera con cui si delineano i contenuti della futura trattativa col governo esiste, sta tutto nero su bianco. «L’ho letta. È una proposta irricevibile, fatta apposta per farsi dire no e continuare a inveire contro Roma per altri dieci anni, lucrando consensi. Sa cosa sta scritto in quella delibera? Dateci tutte le materie del 116, più quelle del 117, lasciateci i nostri tributi e vogliamo i 9/10 di Irpef, Ires e Iva. Siamo ben oltre Trento e Bolzano, si tenta di scardinare l’Unità della Repubblica. E difatti non passerà mai». Resta il fatto che, dopo 3 anni di battaglie, pure i suoi compagni di partito si sono infine astenuti. «E a mio modesto parere hanno sbagliato. Così ci si accoda al pensiero unico zaiano, temendo il populismo, “la gente” come si dice adesso. Il nostro “no” aveva ed ha solide ragioni, condivise da Renzi, da Gentiloni, da tutti i nostri ministri. Perché vi abbiamo rinunciato? Così saremo per sempre subalterni alla Lega».