Estendiamo alla città gli aiuti già stabiliti per la zona rossa. Intervista di Maurizio Giannattasio e Andrea Senesi – Corriere della Sera
Essere diligenti e obbedienti alle regole, ma pensare già al rilancio con la consapevolezza che se ne verrà fuori». Nei giorni della crisi, il sindaco di Milano Beppe Sala accoglie l’invito del Corriere della Sera e per un’ora risponde in diretta alle domande del direttore Luciano Fontana, della redazione e dei lettori.
Sindaco Sala, quando ne usciremo? E soprattutto come ne uscirà la città?
«Non bisogna cedere all’ottimismo di maniera né al pessimismo cosmico. Ho parlato con degli imprenditori in Cina che lavorano fuori dalla zona rossa. Mi spiegavano che il ritorno alla normalità per il loro business è cosa di questi giorni, ossia dopo un paio di mesi. Potrebbe essere così anche per noi. Questo ci fa capire quanto sia necessario adesso cambiare il nostro modo di vivere per contenere il contagio. Sono d’accordo con le decisioni del governo: in questo momento bisogna essere rigidi».
La città?
«Intanto dico che lo stigma su Milano è assolutamente eccessivo. Nella fase iniziale siamo partiti un po’ alla garibaldina facendo tamponi à gogo. Non è stato così in altre città europee. A Milano dobbiamo fare due cose: tenere botta e pensare già al rilancio della città. Sto lavorando su due piani. Il primo riguarda la contingenza. I servizi del Comune continuano a funzionare, così l’anagrafe, i trasporti, le consegne dei pasti a domicilio per gli anziani. Sabato andrò anch’io a portare il cibo nelle case. Non c’è assenteismo. Dall’altra sto pensando a come rilanciare la città, a un piano di comunicazione internazionale, a chi chiamare intorno al tavolo».
La strategia di contenimento messa in atto dal governo sta funzionando?
«Capisco che il parallelo con la Cina sia difficile e che Wuhan sia una Codogno all’ennesima potenza, però è importante guardare quello che sta succedendo lì: ritengo che all’inizio una chiusura significativa e prolungata delle scuole sia giustificata. Mi chiedo però se non sia il caso di dire subito che le scuole debbano restare chiuse in modo che le persone si organizzino e siano in grado di gestire la situazione».
Il governo sembra aver ascoltato le sue parole. Ritiene che l’emergenza possa portare a una sorta di concordia nazionale?
«No. Non vedo segnali in questo senso ed è un grande peccato. Sarebbe il caso di serrare le file».
Lei nei giorni scorsi ha ricordato quanto Milano ha dato al Paese e che è arrivata l’ora di avere qualcosa indietro. Cosa chiede Milano al governo?
«Di estendere alcuni dei provvedimenti presi per la zona rossa anche alla zona gialla. Serve un intervento rapido per le categorie più in difficoltà: il turismo, i bar, i ristoranti. Ad esempio, allargare il contributo di 500 euro mensili per i lavoratori autonomi anche al nostro territorio. Poi ci sono i piccoli albergatori che rischiano di morire. Perché non pensare a una cassa integrazione in deroga sotto i 15 dipendenti? Infine l’ultimo capitolo che riguarda sia il Comune sia il governo: i tributi. Il minimo è sospenderli per due, tre mesi, ma si potrebbe anche considerare di non farli pagare per tre mesi».
Dopo il grande successo di Expo che ha rilanciato Milano nel mondo, il virus ha offuscato l’immagine della città. Quanto ci vorrà perché Milano riprenda la sua cavalcata?
«Credo che ci vorrà un annetto. Nel frattempo bisogna fare cose piccole ma immediate. Dopo che è saltato il Salone di Ginevra mi ha chiamato l’ad di Fiat Auto che ha pensato a Milano per il lancio della 500 elettrica. Gli stendo i tappeti rossi. È un piccolo segnale, ma importante. Dobbiamo resistere e ricordare che Milano ha tutte le risorse per risollevarsi. Ospitalità, design, moda, food: il mondo vorrà sempre queste cose che qui ci sono. Ci vorrà del tempo ma torneranno a chiedercele. Andrà però fatto un investimento molto significativo per il rilancio della città. Adesso non è tempo, ma sto già dicendo a tutti i protagonisti di Milano di essere pronti, dal giovane rapper a Giorgio Armani, perché ci vorrà qualcosa di unico. Lo sto dicendo anche ai creativi, state pronti perché tra non molto dovremo trovare la formula da indirizzare al mondo».
Da cosa bisogna ripartire?
«Bisogna capire come si modificheranno gli investimenti nei vari settori. Mi attendo un calo nel real estate, ma settori come il digitale e l’ambiente possono e devono essere la base per il rilancio. Soldi per tutti non ce ne sono. Bisogna capire dove orientare gli investimenti. Milano può diventare un’area test per l’Italia».
I lavori per le Olimpiadi invernali 2026 sono a rischio?
«Nessuna preoccupazione. I Giochi saranno una delle occasioni di rilancio. Meno male che le abbiamo vinte».
Qual è il pericolo maggiore per una città come Milano?
«Milano è una città che senza apertura al mondo si affloscia. Ho sempre detto di no all’idea di una città stato perché credo nelle città mondo. Noi lo siamo e siamo inseriti in un circuito globale. Vedo due estremi da evitare. Il primo è di chi recita che è meglio un mondo chiuso. Il secondo è invece chi dice che «non cambierà nulla in noi». Partiamo dal primo e mi rivolgo ai tanti profeti delle chiusure e dell’autarchia: se volevate la dimostrazione di che cosa è un mondo chiuso ce l’avete sotto agli occhi. È questo, quello che vediamo in questi giorni. Allo stesso tempo non è neanche pensabile che i nostri comportamenti non escano in qualche modo trasformati dalla crisi. Bisogna trovare una giusta via di mezzo».
Privato e pubblico. Chi si sta muovendo meglio?
«Sono fiducioso per quanto riguarda il mondo privato. Gli imprenditori sono pronti a prendersi il rischio imprenditoriale. Faccio però un appello a tutti, non dobbiamo passare da una situazione in cui se ne parlava solo nei convegni a uno in cui ora tutto diventa smart working, ma non c’è occasione migliore per provare e sperimentare. Alle aziende dico: provateci, perché questo è il momento e perché adesso serve una socialità limitata».
Qualcuno la accusa di essere troppo ottimista e qualcun altro ha criticato la sua foto postata sui social con la maglietta «Milanononsiferma».
«E chiaro che Milano sta passando un momento molto difficile che ricorda gli anni di piombo. Però io nella mia vita personale ho passato dei momenti più difficili di questo. Non è che mi atteggio, non è che faccio il tranquillo di facciata. Quella della maglietta era un’immagine “lieve”. E stata un errore? Anche col senno di poi dico di no. Perché c’è l’uomo e c’è l’istituzione. Io sono fatto così. I milanesi ormai mi conoscono, fa parte del mio modo di essere. Credo che i più abbiano bisogno di vedere in me la giusta tranquillità. Sono stanco, ma so che contando sulle risorse di questa città ci riprenderemo».
Torniamo all’oggi. Anche se la sanità è in capo alla Regione, le chiediamo se l’attuale sistema sarà in grado di reggere l’onda d’urto.
«Bisogna evitare di polemizzare sulla qualità della sanità e ringraziare il personale medico e infermieristico che sta facendo miracoli. Adesso il tema è come fronteggiare il potenziale picco perché esiste il rischio di non farcela se aumenta il numero dei contagi. Bisogna riadattare i luoghi adatti per i ricoveri e per quanto ci riguarda dobbiamo acquistare mascherine che mancano agli stessi medici. Non solo. Dobbiamo lavorare a monte ed evitare che il contagio si diffonda e la questione della mascherina è fondamentale. All’inizio si diceva che doveva essere indossata da chi era contagiato per ridurre la diffusione. È vero, ma è vero anche che abbiamo una serie di attività e di servizi dove pensare di indossare la mascherina non sarebbe sbagliato. Penso a chi ci dà un documento o a chi prepara un caffè. Come Comune dobbiamo lavorare su questo».
La grande emergenza ha accelerato la riflessione sulla sua ricandidatura?
«Non userò questo momento storico per dire io ci sono, io sono il più forte. Fare il sindaco è molto impegnativo, è un lavoro che mi piace molto ma porta via tanto. Milano merita un sindaco forte e determinato. Se mi ricandiderò sarà a valle di una riflessione seria, cioè se penserò di essere la persona giusta con le energie giuste per Milano»