Venezia 25 gennaio 2017 – In una recente lettera aperta inviata ai vertici regionali del suo partito, il consigliere regionale del Partito Democratico, Graziano Azzalin, ha parlato della «necessità di una minore sudditanza del Pd» rispetto al centrodestra del governatore Luca Zaia, puntando l’indice sulle questioni referendum per l’autonomia e banche popolari.
Un invito chiarissimo all’autocritica, per un partito uscito con le ossa rotta dalle regionali dell’anno scorso, senza una guida (è da mesi senza segretario, dopo le dimissioni di Roger De Menech) e autolesionato da imbarazzanti incidenti come il “viaggio indiano” costato il posto da capogruppo ad Alessandra Moretti (figuraccia su cui Azzalin è stato uno dei più critici, all’interno del gruppo in Regione). «È chiaro – sottolinea il consigliere rodigino (in foto) – che su banche e autonomia si fa fatica a scorgere una posizione combattiva del Pd veneto, che ha avuto un atteggiamento sì di sudditanza nei confronti della maggioranza, ma non solo. È stato debole nei confronti del mondo bancario. Ha pesato l’influenza che questo mondo ha in genere sulla politica. Quanto successo evidenzia il fallimento del sistema veneto e del mito della sua superiorità».
Sull’autonomia lei ha una posizione molto critica, sostenendo che fare il referendum consultivo significa buttare soldi. Eppure il bisogno di autonomia da Roma è un sentimento molto diffuso e trasversale. Sulla autonomia la questione è un po’ diversa. Da una lato nel Pd è sempre presente una parte che tenta di cavalcare questo tema per ragioni di visibilità politica. Dall’altro il partito più in generale ha stentato a far emergere tutta una serie di argomentazioni valide contro le uscite di Zaia in questo senso. Uno Zaia che non è mai coerente su questo versante. Perché?
Perché mischia a seconda della platea a cui si rivolge autonomia, indipendenza, secessione. Ben sapendo lui che nessuna di queste tre opzioni è sul tavolo. Ben sapendo che il referendum sulla cosiddetta autonomia altro non è che un mega spot pagato dal contribuente veneto per le prossime elezioni politiche. Un referendum che non ha alcuno sbocco concreto. L’elettorato e l’opinione pubblica, tuttavia, sembrano gradire. Secondo Il Sole 24 Ore Zaia è in cima alle classifiche nazionali di gradimento. Come mai, secondo lei? È abilissimo sul piano della comunicazione. È in grado di occupare qualsiasi interstizio mediatico, specialmente quelli in cui non ha competenze. E poi c’è una opposizione che non morde abbastanza.
Il Pd è senza segretario regionale da molti mesi. Eppure nessuno sembra accorgersi della sua mancanza. Non è che sia il caso di rifondare l’intera classe dirigente del Pd veneto? Lei che cos’ha da rimproverarsi personalmente? Ma lei è in grado di dirmi chi è il segretario di Fi o della Lega? Ovviamente l’autocritica è una degli atteggiamenti nei quali io credo di più. Come partito si poteva fare di più. E mi piange il cuore quando constato in questo senso i ritardi e le assenze del Partito Democratico. Nel Pd e nel suo documento si parla molto del piano cave della mancata riforma delle Ipab. E del buco della Pedemontana lei che dice? Va ripensata magari nel tracciato e nelle modalità?
Quanto alle cave direi lo stallo cui assistiamo deriva dal fatto che la politica regionale è inerme di fronte ad una delle lobby più organizzate. Che ci siano degli interessi non è di per sé sbagliato. Ciò che non va è lo squilibrio soverchiante a favore di una parte. Come non vanno bene gli accordi che non sono alla luce del sole. Sulla Pedemontana Veneta è chiaro che non c’è stato un ascolto sufficiente dei i territori. Quell’opera la si potrebbe anche 1/3 ripensare alla luce delle incertezze che la contraddistinguono sul piano finanziario. E come?
Dopo avere ascoltato tutti gli attori interessati dal suo passaggio. Quanto alla mancata riforma della Ipab ritorniamo alle solite. Zaia fa molti proclami. Ma poi ben poco di ciò che è realmente importante viene approvato in aula. E c’è un punto dirimente sul quale però anche i media si soffermano troppo poco. Quale? Ormai l’abbinata sviluppo grandi opere stradali non sta più in piedi. Lo scandalo della Valdastico Sud e l’enorme area di espansione, tristemente vuota attorno al casello di Villa Marzana, sono due esempi plastici di come questo modello di sviluppo sia andato in tilt. E quindi?
Ciò che serve è la cura degli argini, le opere di manutenzione idraulica, il recupero del costruito nei centri urbani, il rilancio del trasporto ferroviario regionale, quello delle vie d’acqua effettuato cum grano salis. Le dico una cosa che sembrerà paradossale. Dopo le sciagure delle esondazioni degli anni ‘50 il Polesine e il Rodigino in generale si sono dovuti impegnare a fondo per rimettere in sicurezza il territorio. Nel frattempo nel resto del Veneto arrivavano soldi per infrastrutture di ogni sorta, privati e pubblici. Col paradosso che oggi il Polesine è una delle aree ambientalmente meno pressate, meno sature e più sicure; mentre il resto della regione porta le ferite ancora sanguinanti di un modello di sviluppo ormai decotto. Quanto alla Valdastico sud mi domando chi l’ha pensata e quanto ci hanno mangiato. Sui Pfas le responsabilità di chi ha governato la Regione sono in qualche maniera emerse. Ma quelle dell’opposizione, nel controllo e nella critica?
Sul caso Pfas, che è conclamato dal 2013, tutti noi si è capito tardi la gravità e la complessità del problema. Anche l’opposizione si è mossa in ritardo. Ma quando lo ha fatto, tutta l’opposizione, è riuscita a dare alla discussione uno scossone. Chi ha responsabilità di governo e di amministrazione ha evidenziato un ritardo maggiore. Di più. In tema di Pfas ci sono troppi poteri nelle mani del segretario generale della sanità Domenico Mantoan che presiede la commissione ad hoc. Il problema è sì sanitario, ma ambientale in primis, mentre il dominus della situazione sembra essere proprio Mantoan. Io dico che una concentrazione di tanto potere in una persona sola nuoce alla efficienza dei processi decisionali e sottrae spazi di indirizzo alla politica. A Rovigo c’è un sindaco leghistissimo, Massimo Bergamin. A conti fatti, secondo lei, è meglio un leghismo moderato e “democristiano” alla Zaia o quello alla Bergamin? A conti fatti sono profondamente sbagliati tutti e due. Punto. Che intende dire?
Entrambi scaricano la tensione dell’opinione pubblica su temi inesistenti o poco rilevanti. A Rovigo per esempio problemi veri di sicurezza e ordine pubblico non ce ne sono. Lo dicono la questura, la prefettura, i carabinieri. E nonostante ciò il primo cittadino cavalca questi temi. Zaia, che è più astuto, fa la stessa cosa in modo meno rozzo e più sottile, ma il modus operandi è lo stesso. E poi basta con questa storia di Zaia democristiano. Del democristiano l’attuale governatore ha solo certe furbizie tattiche o mediatiche. Non certo l’orizzonte del progetto politico o il retroterra culturale. Da parte del gruppo del Pd nulla è stato detto in relazione all’affaire Sharma-Moretti, soprattutto dopo che sul gruppo commerciale vicentino si è allungato lo spettro di una denuncia per un caso di schiavitù. Quanto di sinistra è stato questo silenzio? Sicuramente ci sarà una inchiesta della magistratura. Se confermata tale accusa sarebbe di gravità inaudita. E le dico di più. La sinistra dovrebbe ripartire proprio dai temi dei diritti e del lavoro. Ma più nello specifico quali proposte concrete lei promuoverebbe in consiglio? Una legge di intervento straordinario sul lavoro, accompagnando politiche e incentivi alle piccole imprese. E poi un 2/3 vero piano per gli interventi di messa in sicurezza delle criticità ambientali. Magari distraendo fondi da alcuni progetti faraonici.