Una settimana fa la Direzione ha votato all’unanimità un documento che indicava in modo limpido le nostre condizioni per dar vita a un nuovo governo.
Partivamo da un giudizio totalmente negativo verso l’azione e l’eredità di quell’esperimento gialloverde risolto in un fallimento inevitabile quanto necessario.
Indicavamo poi i punti discriminanti di una svolta dell’impianto a base e collante di una possibile nuova maggioranza.
L’appartenenza leale a un’Europa profondamente rinnovata: un continente dei diritti, delle libertà, della solidarietà, del rispetto della dignità umana in ogni sua espressione.
Il primato della democrazia rappresentativa a partire dalla centralità del Parlamento.
L’investimento su una stagione di crescita fondata sulla sostenibilità ambientale e su un nuovo modello di sviluppo.
Una svolta nell’organizzazione e gestione dei flussi migratori.
Una discontinuità delle ricette economiche in una chiave redistributiva e di attenzione all’equità sociale, territoriale, generazionale e di genere.
Scrivevamo anche che in assenza di una chiara condivisione di queste premesse la sola strada erano nuove elezioni che avremmo affrontato con una alleanza larga nel segno di una solida alternativa alla destra.
Questi contenuti sono stati al centro del colloquio che la nostra delegazione ha avuto col capo dello Stato.
La stessa impostazione abbiamo sottoposto nei giorni seguenti agli interlocutori politici, a cominciare dal Movimento 5 Stelle.
Non credo serva ricostruire nel dettaglio i passaggi che hanno contrassegnato l’avvio e lo svolgersi di quel confronto.
Passaggi difficili, complessi, tra forze politiche e persone che si sono per mesi combattute e contrapposte.
Una cosa però voglio dire perché la ritengo fondamentale nei rapporti tra noi e per il messaggio che è giusto oggi indirizzare fuori da qui.
In ogni momento di questa vicenda il Partito Democratico ha tenuto la barra e la schiena diritta.
Questo è stato il mio impegno, utile credo per la nostra comunità e per l’Italia. Ricostruire un processo unitario ma forti di un’identità e di una storia di valori, di programmi, contenuti da far valere nel processo di costruzione di un’alleanza.
Mai, per nessuna ragione, abbiamo anteposto ragioni di parte, o di partito, allo sforzo di consegnare a un paese provato da quindici mesi di un pessimo governo una speranza di ripresa e di riscatto.
Ovviamente lo abbiamo fatto nelle condizioni date.
Nel pieno di una crisi di governo che – per i modi, le forme, le procedure – ha precipitato in pieno agosto l’Italia in un contesto drammatico.
Senza un governo, nel senso letterale di una guida in una situazione di grave crisi dell’economia e dell’occupazione.
Alle prese con i rischi di un corto circuito istituzionale alimentato anche dai toni irresponsabili di una Lega sempre più ostaggio del senso di onnipotenza del proprio leader, per altro travolto dalla macchinazione da lui stesso montata e della quale è risultato la prima vittima.
E voglio sottolinearlo, con la sola certezza di trovare una volta di più nel presidente della Repubblica l’equilibrio e la saggezza necessarie a governare un passaggio tanto delicato.
Dunque, noi non ci siamo sottratti.
Abbiamo scelto sino in fondo la via della responsabilità.
Senza calcoli, scorciatoie, doppie verità tentando di mostrare al Paese una forza viva al servizio degli interessi di tutti.
E però anche senza nasconderci le difficoltà di un dialogo con una forza – il Movimento 5 Stelle – che nei mesi e negli anni alle spalle a lungo ha agitato nei nostri confronti argomenti polemici di inaudita aggressività e violenza.
La politica – mi si risponderà – è sempre stata conflitto.
Aspro, severo, quasi mai accompagnato da maniere eleganti.
Tutto vero.
Ma per formazione e cultura resto convinto del bisogno di ancorare anche il conflitto più duro a regole e prassi, a un linguaggio, che non travalichino mai i confini della civiltà e di un reciproco riconoscimento, e questo se posso dire dovrà essere uno degli obiettivi prioritari della nuova politica che il Governo dovrà proporre. Chiudiamo la stagione dell’odio, del rancore, della furbizia, dell’egoismo come valori di riferimento. Rimettiamo al centro, certo la sicurezza, la legalità, il benessere delle persone ma non contro capri espiatori.
Riscopriamo e riproponiamo l’idea della politica come servizio, strumento a servizio delle persone, del Paese e dei suo problemi, non contro qualcuno ma per qualcosa.
Quindi, nessuna reticenza.
Il percorso avviato in questi giorni era e rimane difficile.
Non è una passeggiata di piacere.
Ma se, forti dell’unità di una classe dirigente, dei nostri gruppi parlamentari e di un partito tutto, quel percorso siamo oggi in condizione di completare è grazie alla bussola che abbiamo seguito.
Credetemi, se non corressi il rischio di un titolo male interpretato dai giornali di domani, dovrei dire che questa volta “prima l’Italia” lo abbiamo detto noi, e aggiungerei prima “una nuova Europa” da cambiare, rifondare, avendo nell’Italia un protagonista della ricostruzione e non della sua distruzione.
Abbiamo detto, prima gli interessi e i bisogni della parte più sacrificata e offesa della società italiana.
Lo abbiamo detto e ci siamo comportati di conseguenza.
Indicando da subito, senza ambiguità o reticenze, quali erano le nostre priorità.
Parlo di un programma da porre a fondamento dell’azione di un nuovo governo.
Allo stesso tempo chiedendo ai nostri interlocutori – tutti, non solo quello più numeroso – di dare prova della stessa volontà e coerenza.
Partire dalla visione dell’Italia e derivare da lì – non da nomi e assetti – la possibilità di offrire al paese un’altra chance.
Certo, per noi c’erano e ci sono due premesse alle quali non possiamo né intendiamo rinunciare e sulle quali insistiamo.
Un Governo nuovo, anche nei profili, e una svolta nei contenuti.
Erano e sono condizioni di buon senso, fosse solo per convincere una maggioranza degli italiani che tutto quanto stiamo provando a costruire non è una manovra di palazzo, o una staffetta tra i protagonisti.
No, quella che stiamo tentando è davvero la via difficile di un cambio radicale della politica che si è seguita sinora.
Un cambio dove non chiediamo abiure – non è questo il punto – ma la concretezza di un impianto diverso, questo sì.
A partire dal metodo.
Che per noi non può essere lo schema di prima.
Con un premier arbitro e due forze che sommano i rispettivi programmi e valori, mantenendoli però distinti in un doppio binario che non prevede mai una sintesi.
Questa impostazione – quella del “Contratto” non poteva reggere.
E’stato un errore.
E non poteva reggere per ciò che abbiamo ripetuto in questi mesi.
Perché un grande paese – ma lo stesso vale per una regione o un piccolo comune – non si governano senza una visione condivisa di dove vuoi portare quella comunità di donne e uomini che ti candidi a rappresentare.
Quindi, nessuna replica del contratto. Ma il ritorno a una prassi normale di condivisione di un programma, di una visione, di un orizzonte comune.
Se un governo nascerà – e noi lavoriamo perché nasca – è decisivo che il confronto sui problemi, le priorità, le soluzioni, porti a uno sforzo di condivisione del progetto.
Perché il governo, dal giorno in cui si insedia, è uno.
Un solo governo e una vera squadra messa in grado almeno di tentare , proporre alcuni elementi di una visione condivisa di futuro.
Poi, dietro il governo e la squadra, nel Parlamento e nel paese deve vivere una maggioranza che abbia la forza di accompagnare – e quando serve integrare e correggere – le politiche al centro di una nuova stagione politica.
Questo vale per chi ha alle spalle quindici mesi di un governo che lascia il paese in una condizione drammatica.
Ma con la stessa sincerità vi dico che questo vale anche per noi.
Se una nuova stagione deve avviarsi – e se vogliamo che questa nuova stagione incroci il consenso di una parte larga del paese e del popolo del centrosinistra – allora la discontinuità, l’esigenza di un rinnovamento, di ricerca di nuovi obiettivi riguarda noi e anche alcune delle nostre politiche.
Si sviluppi su questo un dibattito più libero di quello che abbiamo avuto finora, con il Governo che nascerà cambierà il profilo della politica italiana.
Collochiamo le nostre ricerche, analisi, proposte sull’orizzonte del domani facendo ciò che è utile e non sulle polemiche del passato.
Solo così, solo a queste condizioni, è possibile parlare di un governo per la legislatura.
Guardate, come voi leggo anch’io retroscena di ogni genere.
Più o meno veritieri, talvolta velenosi, su quanto il governo è destinato a durare, sulla sua fragilità.
Sono cose a cui sinceramente non bado e a cui non voglio dare alcun peso.
Però una cosa voglio dirla, a me stesso e a tutti noi.
Non abbiamo imboccato la strada più facile, l’ho appena ricordato.
Ma con la stessa schiettezza vi dico che una volta imboccata io – da segretario di questo partito – in questo percorso ho scelto di credere e di investire, di difendere la dignità e la storia del PD dentro un difficile processo politico.
Un risultato è già evidente: Salvini che era il principale protagonista, e forse pericolo, è isolato e sconfitto. Un risultato di rilievo non solo nazionale, ma dobbiamo sapere che solo il successo delle politiche del Governo che dovrà nascere potrà garantire il radicarsi di una situazione nuova.
Per lo stesso motivo sono convinto che ciascuna e ciascuno di voi, qui dentro, in quei gruppi parlamentari che avranno un ruolo fondamentale e nel corpo del partito, deve mostrarsi all’altezza della prova.
Lo dico adesso, prima dello start, perché in gioco non è la sorte di uno, fosse pure il leader o il capo di questa o quella corrente.
Noi abbiamo accettato di portare il peso di una responsabilità verso il Paese.
E sarà al paese e ai cittadini italiani che risponderemo delle nostre azioni e delle nostre coerenze.
Detto ciò, si poteva agire diversamente?
Certamente sì.
Ma la politica – l’agire politico se congiunto a quel tanto di passione che non può mai venire meno – ti mette anche davanti al bivio di scelte non facili.
E la sopravvivenza è determinata dalla forza, dalla passione e dall’intelligenza con la quale si sta in questi processi.
E oggi noi siamo chiamati a una di quelle scelte.
Si poteva ottenere di più?
Vedremo alla fine del percorso.
Certamente sì.
Avremmo voluto una discontinuità ancora maggiore, più marcata.
A cominciare dalla figura del Premier.
Alla direzione di una settimana fa su questo punto avevamo condiviso parole nette.
Allora io sento per primo il dovere di rendere conto qui, a questo organismo allargato ai gruppi parlamentari, le ragioni di una nostra apertura che ha consentito di non spezzare dal principio il filo del dialogo.
Oggi, dopo la stagione consumata con la crisi voluta dalla Lega, Giuseppe Conte sarà il candidato Presidente indicato dai 5 Stelle per la guida di un Governo fondato su un impianto e un programma diversi.
Noi riconosciamo in questa scelta l’autonoma decisione del partito di maggioranza relativa in questa legislatura. Con questa volontà il M5S, ed è legittimo, rivendica la Presidenza del Governo. Ha rifiutato altre ipotesi.
E in questa scelta è inciso il superamento di un modello sul quale si fondava il vecchio Governo.
Una figura condivisa e due vice espressione dei due partiti della coalizione. Questo modello non c’è più.
Detto ciò in un incontro convivono sempre le ragioni di una parte e la quota di ragioni rivendicate dall’altro.
La mediazione tra i reciproci punti di partenza può rivelarsi una somma a perdere per entrambi.
O viceversa consentire di avere un piedistallo su cui poggiare l’azione da condividere nel dopo. Ma bisogna rispettarsi tutti e farsi carico di garantire equilibri accettabili. Su questo dovremo lavorare nella formazione del Governo che visto il proliferare di indiscrezioni tutte a senso unico, mi permetto di dire, dovrà garantire un pieno riconoscimento della differenza di genere e nella costruzione di un programma.
Per noi questa seconda è la modalità unica – la sola possibile – se vogliamo garantire all’Italia una condizione di stabilità e tre anni di un governo che sia davvero – non a parole – per la legislatura.
Arriviamo a questo traguardo dopo un intervallo breve dal nostro congresso.
In quella domenica di marzo – sembra passato un secolo e invece sono solamente pochi mesi – un milione e seicentomila donne e uomini ci hanno chiesto due cose.
Se volete le stesse che abbiamo messo al centro dell’iniziativa di queste ore.
Discontinuità con la stagione di prima e una svolta che mettesse al centro la lotta per l’uguaglianza, i bisogni, le libertà e i diritti di chi è rimasto più solo e più indietro.
Su quella piattaforma mi sono candidato e su quegli obiettivi sono stato eletto segretario di questo partito.
Dal primo giorno ho lavorato per costruire una unità reale, non fittizia, fondata sulle differenze che esistono e non su quell’unanimismo che può reggere l’urto di una riunione ma cede se non poggia su fondamenta solide.
La linea che ho indicato era chiara.
Opposizione ferma al governo gialloverde. Abbiamo dato con le europee e con la battaglia nelle amministrative, anche grazie a tanti sindaci, una centralità nuova al Partito e alla sua missione.
Avevamo detto costruzione di un fronte ampio e inclusivo per l’alternativa alla destra e su quelle basi prepararci alla sfida elettorale.
Oggi quell’agenda in parte cambia.
Per la forza degli avvenimenti certo.
Ma anche per la possibilità di ancorare un movimento eterogeneo come i 5 Stelle a un processo politico radicalmente opposto alla strategia che avevano privilegiato – anche per nostra scelta e volontà – dopo le urne di un anno fa.
Sinceramente, non considero questa una sconfitta.
Casomai l’opposto. Si apre una partita nuova, del tutto nuova, sulla quale ovviamente, anche se non oggi, dovremo discutere a fondo.
Disancorare quel movimento dall’abbraccio con la destra peggiore di sempre e ricondurlo nell’alveo di un europeismo critico ma fermo nel respingere le sirene di una democrazia illiberale, rimettere al centro la leva redistributiva di risorse e opportunità nel segno di un’equità sociale, cancellare la vergogna di comportamenti che hanno violato i diritti umani e umiliato lo stato di diritto: io penso che garantire il taglio di questi traguardi porti con sé il valore di una operazione oggettivamente piena di insidie.
Ma le insidie vanno affrontate, occorre superarle, ed è evidente che lo faremo mettendo a punto una strategia nuova già dalla prossima Assemblea Nazionale nella quale dovremo discutere insieme su quale forza-partito, valori e priorità del PD.
Davanti a noi abbiamo elezioni difficili in Regioni diverse.
L’Umbria tra poche settimane.
Poi Calabria, Veneto, la Toscana.
E l’Emilia Romagna. Appuntamenti fondamentali che dovremo affrontare stringendoci accanto a chi li combatterà in prima fila.
Dobbiamo fare ogni sforzo per costruire in ciascuna di queste realtà l’offerta politica e programmatica più credibile.
Anche naturalmente sul versante di alleanze che il nuovo quadro politico potrà favorire, ma che comunque andranno verifica te e costruite sempre sul primato di valori e programmi condivisi.
Perché, guardate, alla fine di questo agosto unico e imprevedibile, il tema fondamentale resta lo stesso di quando questa crisi non c’era ancora: ed è fermare la destra peggiore che abbiamo mai conosciuto dal dopoguerra.
Fermarla nel Paese, nel consenso e nelle urne.
Questo traguardo noi lo abbiamo sempre avuto ben chiaro.
E questo resterà il traguardo in capo ai prossimi mesi.
Rimettere in sella il Paese.
Restituirgli fiducia e speranza.
In un momento in cui il lavoro per tanti, troppi, non c’è. Servirà la leva di un buon governo delle politiche ma io credo servirà anche la leva di un buon partito rinnovato, aperto, radicato nel Paese, forte nella rete.
Dovremo lavorare con entrambe le leve e gli strumenti che abbiamo.
Dobbiamo proporre un’Italia, un’Europa verde, del lavoro e della crescita, che ricostruisca un modello di sviluppo bloccato scommettendo sulla sostenibilità ambientale e sull’equità sociale.
Sarà durissima ma può essere l’occasione di rifondare il nostro essere nella società.
E lo faremo nei luoghi della vita, in una scuola che alla vigilia dell’anno scolastico restituisca serenità a famiglie ed insegnanti, perché torni ad essere centrale nelle politiche.
Per un ambiente da curare come il patrimonio più prezioso da consegnare alle generazioni future attraverso la rivoluzione della green economy.
Nelle imprese da rilanciare con un piano senza eguali di investimenti green e nelle infrastrutture per rilanciare la competitività e creare lavoro.
Insomma, mettendo al centro l’Italia vera, l’umanità che resiste e reagisce, che fatica ogni giorno per garantire a figli e nipoti un’esistenza migliore.
Dedichiamo questo nostro sforzo alle ragazze e ai ragazzi del nostro Paese, a quelli che tra pochi giorni torneranno a sedere tra i banchi o entreranno per la prima volta in un’aula universitaria.
Lo dedichiamo a quei giovani italiani – tante e tanti diplomati e laureati – che l’Italia non ha saputo trattenere, costringendoli a cercare altrove, spesso lontano, quel diritto al futuro che un grande Paese deve saper offrire.
Ho finito: siamo in campo nel momento forse più complicato della nostra esperienza politica.
Ma come ho detto all’ultima direzione sono questi passaggi che segnano l’identità di un partito e la coesione di una classe dirigente.
Io non voglio neppure nascondervi la fatica e la tensione di queste settimane. Ma non credo che ci siano parole per raccontarle.
Ho tentato veramente di fare di tutto per essere coerente con il mandato ricevuto e rappresentare al meglio la nostra comunità.
Le pressioni che abbiamo ricevuto sono state molte, in un senso e nell’altro.
Ma è premessa per la vita di un partito preservare l’autonomia delle sue scelte strategiche.
Io voglio garantirvi che questa autonomia, in ogni istante, abbiamo difeso e rilanciato.
Se oggi siamo in grado di produrre un risultato è anche per questa tenuta che per me nei prossimi giorni rimarrà la bussola da seguire.
Sulla base di queste considerazioni vi chiedo, nell’approvare questa relazione, un mandato chiaro per esprimere oggi pomeriggio al Presidente della Repubblica la nostra disponibilità a verificare con il Presidente incaricato le condizioni politiche e programmatiche e contribuire a dare vita al nuovo Governo.
*
Care amiche, amici, cari compagni,
ancora poche settimane fa nessuno tra noi immaginava una accelerazione così brusca dell’agenda politica e delle scelte che ha trascinato con sé.
Ma succede.
Perché non sempre siamo padroni del tempo.
E può accadere che la spinta del tempo, e degli eventi, imponga di accelerare il passo.
Se per un istante guardiamo alla storia lunga del paese è accaduto in altri momenti, anche più drammatici di questo.
Però questo è uno di quei passaggi e dobbiamo saperlo.
Con molti tra voi ci conosciamo da anni.
Con altri meno.
Ma a tutte e tutti voglio dire che in questi giorni – e in queste ore – ho sentito per intero il peso di una responsabilità grave.
Ho coltivato i dubbi, come è giusto che sia di fronte a scelte che interrogano la coscienza di ciascuno.
Quei dubbi – se posso parlarvi con sincerità – è bene siano parte di ognuno di voi.
Perché in quell’interrogarsi c’è anche la radice che fa di questa forza un argine a qualunque deriva o scorciatoia che semplificando le scelte più difficili finisce solo per banalizzare la realtà.
E questo – credetemi – non è mai un bene.
Soprattutto nell’epoca dell’agire e del comunicare immediato, che ogni ragione consuma nello spazio dell’attimo, non è mai un bene.
Me lo perdonerete un riferimento che non ha nulla di personale, ma qui, oggi, forse ha un senso.
Abbiamo aperto la nostra festa nazionale a Ravenna con l’omaggio meritato a un maestro del racconto, della cultura, del civismo migliore: con Andrea Camilleri.
In una delle sue ultime interviste aveva raccontato un episodio spiegando quale peso avesse avuto su di lui.
Quale insegnamento fosse stato.
Aveva assistito a un diverbio verbale tra Leonardo Sciascia e un interlocutore che aveva opinioni opposte.
Il punto è che questo signore iniziava ogni frase con l’affermazione perentoria “io penso…io credo…io penso”.
Fino a che Sciascia lo aveva fermato dicendogli “Totò, posso darti un consiglio?”
E quello, “Sì, certo”.
“Totò, tu prima di pensare…devi riflettere!”.
Ecco, io vorrei dirvi che in questi giorni difficili, prima di pensare ho sempre cercato di riflettere e di anteporre a qualunque schema di potere – quanti ministri o sottosegretari avremmo potuto ottenere – il compito di questo partito.
La sua funzione nell’Italia di adesso e in quella che lasceremo a chi verrà dopo.
Io penso che l’unità del nostro partito si costruisce così.
Con la modestia di sapere chi siamo e l’ambizione enorme di consegnare alle ragazze e ragazzi di questo paese un avvenire degno di essere vissuto.
L’ho detto una settimana fa e lo ripeto oggi.
Nessuno di noi – davvero nessuno – può farcela da solo.
Ma insieme – nel rispetto reciproco – possiamo affrontare ogni ostacolo e allora anche la destra peggiore, la più aggressiva e cinica, si riduce a una tigre di carta.
Però dobbiamo credere sia davvero così.
Nel senso di viverci come il partito oggi in grado di riscattare l’Italia dopo il buio di questi mesi.
Io vi dico, gettiamo il cuore al di là dell’ostacolo e proviamoci.
Da soli siamo poco o nulla.
Assieme diventiamo una cultura.
Una identità.
Un partito.
Oggi è il 28 agosto.
Il 29 agosto del 1991 a Palermo la mafia uccideva Libero Grassi, imprenditore simbolo che si era opposto al pizzo e isolato da molti, troppi, ha pagato quel coraggio con la vita.
È accaduto perché questo paese è tante cose.
È la legalità contro il crimine.
La giustizia contro la violenza.
La dignità contro la paura.
La convivenza contro l’odio.
Per tutto questo proviamo – proviamo assieme – a essere all’altezza e far vivere l’Italia più bella.